Quando mi preparavo alla partenza per il mio anno di scambio negli USA, i volontari di AFS amavano ripeterci un mantra che, negli anni, si è poi radicato nella mia mente e ha influenzato il mio comportamento in determinate situazioni:
“Quando siamo all’estero, è inutile lamentarsi e chiedere aiuto a chi abbiamo lasciato in Italia. Loro non saranno nella posizione di aiutarci, con i nostri problemi li faremo solo preoccupare, e nessuno dei due ne trarrà beneficio. Meglio invece chiedere aiuto in loco a chi è effettivamente nella posizione di poter fare qualcosa per risolvere i nostri problemi”.
Con questo i volontari di AFS volevano scoraggiare la normale tendenza – dopo una giornata andata storta a scuola, o un allenamento di pallavolo particolarmente alienante, dove magari le compagne ci avevano lasciato un po’ da parte – a chiamare mamma, papà, amica o chiunque altro che in Italia ci fornisse una spalla su cui piangere, per sfogarsi. L’idea di fondo era che, dopo una telefonata in lacrime a lamentarci di come tutto andasse storto in questa parte di mondo, il nostro momento no sarebbe presto passato, il giorno dopo a scuola avremmo realizzato che le compagne avevano semplicemente avuto la luna storta e che in realtà avevamo più amici di quanti pensavamo. Nel frattempo la mamma, papà, amica o altro avrebbero passato la giornata e la serata a preoccuparsi per noi, si sarebbero rattristati della nostra tristezza e si sarebbero sentiti impotenti nel non poterci aiutare. Insomma, mentre noi avevamo già superato il momento di tristezza, loro si stavano ancora preoccupando per noi.
Molto più utile invece confrontarsi in quel momento con un’amica locale, o il volontario di supporto, o la famiglia ospitante: chiunque insomma avrebbe potuto avere una visione più oggettiva e “culturally appropriate” della situazione in cui effettivamente ci trovavamo. Per questo, queste figure nel mondo di AFS vengono chiamate “cultural informants“: sono queste infatti le persone che forniscono a noi stranieri la chiave di lettura e gli strumenti per interpretare la cultura locale che ci ospita. Sempre secondo i volontari, solo a problema risolto o momento nero passato, sarebbe stato appropriato condividerlo con la famiglia di origine. A mente fredda, noi saremmo riusciti a mettere tutto nella giusta prospettiva, e i nostri cari avrebbero apprezzato la nostra forza di volontà e determinazione nell’aver superato un momento difficile.
Nel contesto – protetto e altamente organizzato – di AFS, tutto questo ha un senso: la rete di protezione e supporto è fitta e preparata, e gli studenti non sono veramente mai lasciati soli, soprattutto nel momento del bisogno. Ma come fare quando cresciamo ed emigriamo e quella rete di supporto non è necessariamente li già bella pronta per noi? A chi rivolgersi dunque?
Ahimè mi sono trovata anche io nella situazione di dover chiedere aiuto, per quanto a mio malgrado magari. I problemi e le scocciature fanno parte della vita di tutti i giorni, e purtroppo, chi più chi meno, abbiamo tutti le nostre gatte da pelare. Dai vicini che ci rendono la vita un inferno, alla frustrazione di non trovare il lavoro giusto, dalla burocrazia universitaria che da mesi tiene in ostacolo la mia tesi, alla solitudine che a volte attanaglia noi che viviamo lontani da casa… i momenti no che hanno caratterizzato la mia vita Down Under ci sono stati eccome – anche se mi ritengo lo stesso molto molto fortunata per quello che ho. E non mi vergogno a dire che non ho sempre saputo affrontare tutto da sola. Saper chiedere aiuto all’estero, così come in patria, è il primo step per risolvere un problema.
Come ho fatto ad affrontare questi momenti di sconforto o problemi veri e propri che hanno ostacolato il mio cammino? A chi mi sono rivolta per trovare conforto, comprensione e delucidazioni? Eccovi la mia personale rete di supporto all’estero.
- amici e famiglia in loco: se non siete emigrati da soli, immagino che abbiate con voi un/a compagno/a, moglie o marito, oppure i parenti della vostra metà se vi siete trasferiti nel suo paese. Se siete partiti da soli, mi auguro lo stesso che prima o poi riusciate a stabilire una rete di supporto locale su cui contare. Che siano amici, colleghi, compagni di squadra o di studi, avere aiuto in loco è assolutamente essenziale e per me è sempre il primo punto di riferimento. Come dicevo prima, se queste persone sono locali, vi sapranno consigliare e dare delucidazioni su usanze e abitudini locali che magari non capite e che vi possono creare qualche perplessità. Se invece sono anche loro stranieri, vi forniranno comunque punti di vista e opinioni diverse dalle vostre, che vi permetteranno magari di riuscire ad arrivare al nocciolo della questione – oltre ovviamente a condividere alcuni sentimenti e problemi tipici di chi è emigrato. Il lato negativo di questo primo cerchio è che creare amicizie da grandi non è sempre un gioco da ragazzi, molti rapporti rimangono superficiali o sono solo passeggeri, e spesso manca il tempo e la confidenza per fare totalmente affidamento a persone che si è appena conosciute.
- colleghi/conoscenti in loco: per delucidazioni e consigli su questioni meno intime e personali, e più generali – ad esempio relative al mondo del lavoro o dello studio, oppure a questioni mediche, legali, di visto, ecc. – ci si può rivolgere alla seconda cerchia di conoscenti, con cui forse non siete molto in confidenza ma di cui comunque vi fidate. I colleghi, compagni di studio, professori, allenatori, ecc possono essere ottimi punti di riferimento per avere un confronto e un consiglio più oggettivo ma forse anche più veritiero. Ovviamente, la persona con cui ci si confida va valutata bene, onde evitare possibili ritorsione e conseguenze in ambito lavorativo o sociale.
- professionisti in loco: ovviamente ci sono moltissimi servizi di counselling, coaching e chi più ne ha più ne metta, disponibili anche online, che non implicano assolutamente problemi mentali. In Italia trovo che sia ancora tabù chiedere aiuto a un professionista – psicologo, psichiatra o counsellor che sia – per l’ingiusto stigma associato alle malattie mentali. Ma il counselling non è solo per chi ha problemi di salute mentale: è anche e soprattutto per chi sta passando un momento no, per chi si sente sopraffatto dalla vita e vuole semplicemente qualcuno con cui sfogarsi e che sappia fornire strumenti e consigli per affrontare questa situazione. Chiedere aiuto a un professionista non vi renderà meno coraggioso, meno forte o meno figo, anzi. Chiedere aiuto a un professionista significa che siete intelligenti abbastanza per capire che da soli questi problemi non riuscite a risolverli e che c’è qualcun altro là fuori che può aiutarvi a farlo.
- amici e famiglia in patria: i vostri cari e i vostri amici in Italia o in altri paesi sparsi per il mondo sono e resteranno sempre pilastri importanti della vostra vita e spero che voi possiate sempre fare affidamento su di loro. Che siano problemi seri o robe da niente, sono sicura che chi vi vuole bene – indipendentemente da dove sia fisicamente – ci tiene a esserci nel momento del bisogno. Ed è giusto quindi non tagliarli completamente fuori dalla nostra vita solo perché non fanno parte della nostra quotidianità. Ma ricordatevi quello che vi ho detto all’inizio: state attenti a non caricare eccessivamente i vostri cari dei vostri problemi su cui non hanno comunque nessun potere!
- nessuno: preferite tenervi tutto dentro e non caricare di problemi e preoccupazioni amici, parenti e conoscenti? Siete liberissimi di farlo ovviamente, la scelta è vostra. Il mio consiglio però è di trovare altre valvole di sfogo che vi permettano di distrarvi dai problemi che vi attanagliano. Fate sport, passate del tempo all’aria aperta, scrivete o fate qualsiasi attività manuale che vi tenga occupata la mente: ma vi prego, non rinchiudetevi in casa tutto il tempo ad ossessionarvi sulle questioni che state affrontando. Non è assolutamente questo il modo più sano per risolverle!
Ogni persona e storia sono un caso a sé, ça va sans dire. Non voglio insegnare niente a nessuno, né tanto meno dirvi come affrontare i vostri problemi. Perché se c’è una cosa che ho imparato a mie spese è che i problemi sono purtroppo di chi ce li ha. Chi vi sta intorno può consigliarvi, compatirvi, coccolarvi o rassicurarvi, ma starà comunque a voi affrontarli giorno dopo giorno. Fate quello che più vi aiuta e vi fa stare meglio, ma per favore: non vergognatevi mai di chiedere aiuto all’estero o ovunque voi siate!
Last Updated on 14/07/2021 by Diario dal Mondo
Ho vissuto diverse volte all’estero e tutte le volte sono partita da sola. Solo l’ultima volta sono partita con una borsa di studio da parte dell’università e quindi con un supporto burocratico in loco: tutte le altre volte sono partita con la valigia in mano e un pò all’avventura.
Quindi posso capire la situazione in cui ci si trova una volta arrivati sul posto. A volte veniamo presi dall’ansia o dall’agitazione e il problema ci sembra più grande di quanto possa cambiare. E sono d’accordo con le parole dei volontari di AFS: a distanza di anni & esperienze fatte, sono parole sante! Hanno reso molto bene il contesto!
Anche io ho fatto entrambe le esperienze. Sono partita per esperienze all’estero con tutto il supporto possibile e immaginabile, e sono partita altre volte senza sapere bene a cosa andavo incontro. E’ ovvio che nel primo caso avevo più supporto in caso di bisogno, ma le difficoltà culturali sono comunque tante e questo spesso impatta su come e quando ci sentiamo liberi di chiedere aiuto!
Hai perfettamente ragione! La frase finale è il fulcro di tutto, non bisogna mai vergognarsi di chiedere aiuto soprattutto quando si è all’estero. Creare una rete di persone a volte non è facile ma un passo alla volta diventano il supporto migliore. I familiari in patria possono cercare di fare qualcosa ma alla fine il vero aiuto viene da chi abbiamo veramente vicino in quel momento. Tenersi tutto dentro non aiuta, anzi può solo peggiorare. Hai fatto bene a parlarne perché spesso ci si dimentica delle difficoltà che si possono incontrare all’estero. Non è sempre tutto rose e fiori come sembra e questo to articolo potrà aiutare molte persone!
Più che altro all’estero può mancare la conoscenza di quali sono i meccanismi di supporto disponibili. Soprattutto all’inizio può essere molto difficile orientarsi in quella che è la burocrazia e il sistema sanitario del paese che ci ospita. Ma è assolutamente vitale trovare questa rete, sia nel momento del bisogno che quando stiamo bene!
Brava Claudia! Credo tu abbia scritto cose molto importanti, che specialmente i giovani emigrati da soli in cerca di una vita nuova dovrebbero leggere. Io sono una che per natura tende a non far preoccupare i familiari stretti; ovviamente, quindi, quando mi trovavo dall’altra parte del mondo al telefono o su Skype ero sempre felice, anche quando c’era qualcosa che non andava! Ma, come dici tu, non ha senso far preoccupare le persone che, oltre a un supporto morale, non possono fare niente per te. È comunque anche più bello e sano crearsi una propria rete di supporto con le persone che abitano nello stesso posto, ed essere noi stessi un supporto per gli altri!
Idem, cerco sempre di far vedere ai miei parenti ed amici il lato migliore e più felice di questo espatrio, ma è ovvio che poi nella quotidianità ci sono tanti problemi e gabole più o meno serie che cerco di tenere nascoste. E’ normale e bello invece crearsi una rete di supporto in loco che però purtroppo, almeno a mio avviso, non riesce a sostituire a pieno quella che abbiamo lasciato indietro
Nella mia esperienza Down Under, molto aiuto è venuto dai gruppi FB su cui ho trovato un sacco di info utili e qualche risposta e mie domande strampalate. La gente è amichevole e easygoing ma ho la sensazione che nel momento del bisogno altrui lo sarebbe di meno. Non so, probabilmente è solo un’impressione sbagliata 🙂 Una cosa la so per certa: non si può contare sui vicini come eravamo abituati in Italia! Qua nemmeno ci si saluta quando ci si incontra!
Sarà che forse io mi sono trasferita in Australia prima che scoppiasse la moda di tutti questi gruppi fb, ma devo dire che negli anni ho trovato ben poco supporto “profondo”, mentre per questioni pratiche e immediate possono essere sicuramente una buona risorsa. Io un australiano me lo sono sposato e la sua famiglia è ovviamente australiana e il sostegno non me lo farebbero mancare mai, però diciamo che è sicuramente vero che il loro atteggiamento è meno caloroso del nostro italiano